QUALI PROSPETTIVE PER IL MERDIONE
DOPO OLTRE UN SECOLO DI EMIGRAZIONE?
San Giovanni in Fiore - 23 aprile 2005
Quale avvenire dopo 140 anni di emigrazione?
dal settimanale "la Riviera", 01 maggio 2005
Quale avvenire per la
Calabria dopo 140 anni di emigrazione?
Il risultato delle ultime
elezioni regionali, perfettamente coerente con la volontà degli elettori, è ben
lontano dal dare una risposta ai problemi del lavoro e dell’occupazione, che la
gente avverte personalmente. L’associazione “Due Sicilie” di San Giovanni in
Fiore ha voluto chiedere una risposta al pressante interrogativo. Non si è
rivolta ai rappresentanti delle istituzioni politiche nazionali o locali, ma a
tre studiosi della “questione meridionale”:
Nicola Zitara, giornalista e autore di numerosi volumi, Mario Brunetti, ex
parlamentare ed ex consigliere regionale della sinistra, attualmente Presidente
del Centro Studi Mezzogiorno & Mediterraneo, Giovanni Latorre, Magnifico Rettore
dell’Università della Calabria.
La domanda posta è: “Quale avvenire per la Calabria dopo 140 anni di
emigrazione?”.
Il dibattito è stato lungo, acceso, appassionato, sia fra i relatori sia dei
relatori con il pubblico. Riassumiamo le posizioni dei tre oratori.
Giovanni Latorre ha sostenuto che la marginalità della Calabria e la situazione
di sottosviluppo sono legati storicamente all’emarginazione geografica del Sud
rispetto a “un continente dalla modernità” situato nell’Oceano Atlantico
settentrionale, avente come confini le sponde occidentali dell’Europa e quelle
orientali degli Stati Uniti.
L’emarginazione geografica del Sud italiano ha portato con sè la permanenza fino
ai tempi nostri di una condizione di basso tasso di civismo e il clientelismo,
che sommandosi sviliscono la vita politica.
La recente crescita dei paesi del Sud-est asiatico lascia immaginare dei forti
scambi tra questa area del mondo e l’Europa. Le merci asiatiche in entrata e le
merci europee in uscita, dovendo seguire la rotta: Oceano Indiano, Canale di
Suez, Mediterraneo orientale, privilegerà i porti meridionali. Bisogna
prepararsi all’evento riorganizzando i sevizi e normalizzando la vita politica.
Mario Brunetti è partito dalla constatazione che la formulazione dello stato
nazionale nel 1860/61 ha bloccato l’evoluzione sociale ed economica dell’area
meridionale, innescando l’emigrazione transoceanica dei decenni precedenti alla
Prima Guerra Mondiale.
Caduto il fascismo e fondata la Repubblica, tranne i pochi anni della lotta per
la terra, il sistema nazionale e la stessa sinistra non hanno saputo assumersi
la rappresentazione degli interessi delle popolazioni meridionali né formulare
un serio progetto per l’occupazione e lo sviluppo.
Molte responsabilità in ordine alla caduta del welfare sono addebitabili ai
governi di sinistra che hanno guidato l’ingresso dell’Italia nell’area
dell’Euro.
Per Brunetti, l’avvenire del Sud è collegato alle politiche mediterranee
dell’Unione europea, che dovrebbero superare con uno scatto di buona volontà
l’attuale fase di stanca.
Nicola Zitara ha stigmatizzato la secolare operazione di svalutazione e
mortificazione dei meridionali. Ha ricordato a titolo d’esempio fatti e atti dei
governi e dei poteri forti rivolti a sottrarre valore e identità al Sud. “Non è
una banalità, ha detto, che il Festival della canzone italiana si svolga a
Sanremo, terra dei fiori ma non di musica, e non a Napoli, terra di musica a
livello mondiale”.
“Perché -ha proseguito- Firenze, Siena, Verona, Padova, Venezia, et cetera sono
“città d’arte”, mentre non lo sono Napoli e specialmente Palermo? C’è -ed è
evidente- un’esclusione capziosa che è frutto di ingordigia. Il Sud è stato ed è
una grande nazione, più grande di molti stati europei per popolazione e per il
livello dei suoi lavoratori e imprenditori; qualità riconosciute e apprezzate
dovunque, fuorché l’Italia. La disoccupazione e il sottosviluppo non stanno nei
precordi della società meridionale, nei cosiddetti “mani antichi”, ma nello
stato cavourrista, che ha cambiato il pelo costituzionale e istituzionale, ma
non il vizio toscopadano, rinascimentale e risorgimentale dell’usura e del
saccheggio. Nelle società moderne ogni singolo Stato amministra spesa pubblica
per una cifra intorno al 50 per cento del PIL.
Perché il Sud dovrebbe continuare ad abdicare a tale funzione? Per le piume dei
bersaglieri? Per fare contenti gli inquilini dei palazzi romani? Quale titolo
hanno i toscopadani per amministrare i nostri tributi?
L’ingordigia toscopadana favorisce, o meglio aiuta e alimenta, l’espansione
della mafia.
La mafia è un tragico male per i meridionali e contemporaneamente una concreta
entrata per la finanza toscopadana, la quale incassa dai traffici mafiosi non
meno di 200 mila miliardi l’anno di vecchie lire. Una comodità per i poteri
forti milanesi ed emiliani, che trovano al Sud un referente docile e partecipe.
Il sistema toscopadano corrompe il Sud e mortifica i suoi gruppi politici
dirigenti in una condizione di permanente degrado morale, favorendo lo spreco
dei soldi pubblici e il clientelismo.
Separarci dall’Italia è la strada lineare per uscire dalla situazione assurda e
penosa in cui ci siamo intrappolati come nazione meridionale. L’uscita
abbasserebbe incredibilmente il prezzo degli alimenti più importanti, come il
grano, la carne, il latte, che l’Unione europea mantiene dieci volte più alti
che sul libero mercato mondiale. Per un paese che progetta lo sviluppo
indipendente, pagare meno il pane e la carne è decisivo. Come è decisivo
fabbricarsi i beni di uso comune (per es. le sedie o i computers) all’interno
della nazione.
Fatti del genere, se realizzati, portano alla piena occupazione, lo stesso che
dire la fine dell’emigrazione.
L’immoralità non è un fenomeno attinente alla filosofia, ma alla politica: è la
forma che la politica nazionale assume per sgovernare il Sud.
In pratica, è una simulazione della classe che governa l’Italia attraverso lo
stato nazionale, la quale, ad uso e consumo della pubblica opinione, rovescia le
proprie responsabilità, facendo, della vittima, il colpevole del malaffare”.
Giuseppe Gangemi